“Suonare” senza suonare: il linguaggio dei DJ e la musica di oggi raccontano un’epoca, nonostante tutto, sopravvalutata
Chiamare “suonare” un DJ set gonfia la percezione di valore tanto quanto i numeri degli stream gonfiano il valore della musica mainstream. Due distorsioni parallele—lessicale e culturale—che alimentano la stessa bolla.
TL;DR (Troppo lungo; non l’ho letto)
Dire “suonare” quando si fa il DJ è una scorciatoia linguistica che confonde ruoli e abilità, proprio come usare like e stream come proxy di qualità musicale. Due sopravvalutazioni che si specchiano.
Da “mettere i dischi” a “suonare”
Per decenni i DJ mettevano musica: selezione, mix, continuità ritmica, gestione dell’energia. Con l’arrivo del turntablism (che usa davvero i piatti come strumento), del gergo anglofono (“to play a set”) e dei social, “suonare” è diventato uno status verbale. Glamour, sì. Ma tecnicamente impreciso nella maggior parte dei casi.
Perché è un problema tecnico (non solo lessicale)
- Curatela ≠ esecuzione: il DJ ordina e fonde; il musicista genera note e frasi.
- Macchina ≠ gesto: sync, quantizzazione e cue automatizzano; lo strumentista governa intonazione, articolazione, dinamica.
- Responsabilità espressiva: il DJ scolpisce transizioni ed energia; il musicista lavora sulla micro-espressività di ogni frase.
Chiamare tutto “suonare” appiattisce competenze diverse e incentiva l’illusione di competenza.
La parola che crea il personaggio
“Suonare” funziona come brand positioning: suono = artista; metto i dischi = operatore. È utile per cachet, bio e flyer; comodo per il pubblico che riconosce un “live” anche quando live non è.
Il lessico è un effetto cornice: cambia la percezione del prodotto senza cambiarne la sostanza.
Parallelo: la dittatura del numero nella musica
- Ascolto ≠ qualità: gli stream misurano esposizione, non valore estetico.
- Algoritmi: spingono ripetibilità, intro “aggancianti”, durata ridotta.
- Loudness: dinamica compressa per smartphone e playlist; impatto subito, profondità no.
- Economia dell’attenzione: conta restare nel flusso, non distinguersi dal flusso.
Come “suonare” gonfia il ruolo del DJ, i numeri gonfiano la musica: più play = più valore, anche quando il brano è seriale e sostituibile.
Due sopravvalutazioni che si alimentano
- Sovra-linguaggio: chiamare tutto “suonare” moltiplica i “live” di facciata.
- Sovra-metrica: la produzione insegue l’algoritmo invece dell’ascolto.
- Ciclo dell’illusione: parola forte + numeri grandi = legittimazione automatica.
Obiezioni (e perché non bastano)
“Il DJ crea esperienza live, quindi suona.” Crea esperienza, sì; “suona” solo se genera materiale sonoro in tempo reale (turntablism, finger drumming, live electronics non preconfezionato). Altrimenti sta performando un set: dignitoso, ma diverso.
“I numeri non mentono.” Misurano esposizione, non valore artistico. L’audience non è una metrica di profondità.
Vocabolario utile (che restituisce valore)
- DJ selettore/curatore (genere, mood, arco energetico)
- DJ mixer (transizioni, beatmatching, EQ)
- DJ performer (controllerism, finger drumming, effetti suonati)
- Turntablist (piatti come strumento)
- Live set (sintesi/arrangiamento in tempo reale)
- Concerto (esecuzione strumentale/vocale)
Nominare bene non sminuisce: rimette il valore al posto giusto.
Oltre gli stream: criteri per ascoltare meglio
- Dinamica, arrangiamento, progressione armonica, timbrica.
- Longevità: regge dopo mesi o anni?
- Contesto: funziona in sala, in cuffia hi-fi, su impianti diversi?
- Firma: riconosci l’autore senza leggere il nome?
Conclusione (polemica ma utile)
Abbiamo lasciato che parole forti (“suonare”) e numeri grandi (stream) facciano la legittimazione al posto della sostanza. È comprensibile, ma dannoso per la cultura musicale.
- DJ: rivendicate la vostra maestria chiamandola per nome. Quando suonate, ditelo; quando curate e performate, ditelo meglio.
- Ascoltatori: sospendete il feticismo dei numeri. Chiedete alla musica di durare, non solo di passare.
- Industria: basta trucchi lessicali. La chiarezza non deprime il valore: lo fonda.
Finché useremo parole e metriche come specchi deformanti, confonderemo intrattenimento con musica, performatività con esecuzione, popolarità con qualità.