“En e Xanax” di Samuele Bersani — la grazia del poco
Quando una canzone non chiede di essere capita ma ti si mette accanto: misura, pulizia, verità piccola.
Ci sono brani che ti trascinano in pista e altri che ti trovano già seduto, con i pensieri sparsi, e li raccolgono uno a uno. En e Xanax appartiene a questa seconda famiglia: non fa sfoggio di potenza, non cerca scorciatoie emozionali, non usa lo scintillio per distrarti. Preferisce il gesto più raro: la vicinanza. È una canzone che non spinge: accompagna.
La prima impressione è di semplicità. Ma basta restare un attimo per capire che è la semplicità delle cose ben fatte: quella che non ha bisogno di urlare la propria presenza. Le parole arrivano come arrivano le parole tra persone che si vogliono bene: senza scenografie, senza acuti di maniera, con quell’ordine che mette a fuoco tutto il resto. È una sincerità che non ti mette in soggezione; al contrario, ti libera dall’ansia di dover “sentire qualcosa”. L’emozione, qui, è un effetto collaterale della misura.
Parole chiave
- Misura: niente in più del necessario.
- Pulizia: ogni elemento ha un perché.
- Vicino: voce, immagini, ritmo del parlato.
In un’epoca che confonde volume con intensità, En e Xanax sceglie un’altra via. Non si affida al colpo di teatro, non rincorre l’effetto dei quindici secondi: lascia che la lingua italiana faccia il suo lavoro, con gli accenti nel posto giusto e le pause che respirano. E quella pulizia non raffredda, anzi. Proprio perché non ti travolge, ti permette di riconoscerti. La canzone non pretende: ti assomiglia.
Forse è questo che ci manca da un po’ nella musica più esposta: il coraggio del poco. Il coraggio di lasciare vivi i silenzi, di non coprire con strati di suono ciò che il testo non dice, di non spostare lo sguardo quando la cosa vera è semplice. La semplicità, quando è autentica, non è povertà di mezzi: è ricchezza di scelte. È saper dire no a tutto ciò che disturba il senso, finché resta solo ciò che serve.
Momenti che fanno clic
Non sono gli effetti speciali a restare, ma i dettagli che sembrano inevitabili: una parola messa bene, una pausa che arriva giusta, una melodia che non sgomita e per questo si ricorda.
C’è anche una forma di gentilezza, in tutto questo. Gentilezza verso l’ascoltatore, a cui non si domanda di “capire” ma solo di esserci. Gentilezza verso la canzone, che non viene caricata di ruoli che non le appartengono. E gentilezza verso il tempo: perché brani così non consumano in fretta, non si sgonfiano al quarto ascolto. Resistono. Non per nostalgia, ma per aderenza alla realtà.
La modernità di En e Xanax sta proprio qui: in un modo quasi controcorrente di stare al mondo. Mentre tutto corre, questa canzone accetta di andare al passo dell’umano. Ti concede di concentrarti su una sola cosa alla volta — su una frase, su un’immagine, su un respiro — e scopri che non ti manca nulla. La misura diventa una forma di fiducia: fiducia in chi canta, in chi ascolta, nella lingua che li tiene insieme.
Citazioni dalla stampa
“Tu hai l’anima che io vorrei avere.” — Rockol, Canzoni da leggere
“En e Xanax siamo io e lei.” — Samuele Bersani a Radio Italia
“Una grande cura messa nella produzione.” — Rockol, recensione di Nuvola numero nove
“Un brano che conquista sin dal primo ascolto [...] per linearità e [...] immediatezza.” — L’Isola che non c’era
Alla fine, resta una sensazione lieve ma precisa: quella di essere stati visti senza clamore. En e Xanax non ti chiede di cambiare idea su nulla; ti propone solo di guardare le stesse cose con meno interferenze. E, quasi senza accorgertene, qualcosa si sposta di un millimetro. A volte basta questo per chiamare capolavoro una canzone: la sua capacità di aggiustare la messa a fuoco del quotidiano.