La narrazione ufficiale: “solo effetto, non correzione”

Le parole sono state pesate: l’Auto-Tune si potrà usare “come effetto”. Che eleganza semantica. Ma in un live televisivo con click, basi, in-ear e scene programmate, il confine tra “effetto” e “correzione” è un filo di rasoio. Soprattutto quando la resa vocale vera non regge e si chiede al plugin di trasformare un’interpretazione in una linea piatta e perfettina, pronta per i feed.

Non è stile: è un alibi

La direzione maschera l’operazione come “modernità”. La sostanza è più semplice e più triste: molti cosiddetti artisti, senza stampella digitale, farebbero acqua da tutte le parti. L’effetto “stilistico” diventa il cerone che nasconde stonature, impaccio, assenza di respiro.

Le etichette al volante

Chi detta l’agenda? Gli uffici marketing che devono trasformare account social in “cantanti”. Con l’Auto-Tune la post-produzione entra in prima serata: il talento diventa opzionale, la personalità si appiattisce su preset identici. Prodotti, non interpreti. Immagine, non voce.

Quando l’esempio parla da sé

Lo scorso anno è bastata un’esibizione traballante per mostrare l’elefante nella stanza: senza filtro, crolla la scenografia. E allora ecco la soluzione: sdoganare il filtro come “scelta”. Così nessuno rischia figuracce, e il Festival si mette in scia al suono da playlist.

Che cosa perde Sanremo (e cosa perdiamo noi)

Il banco di prova

Sanremo era il luogo dove una voce si misurava con la verità del live. Se trucchi la bilancia, il peso non vale.

L’emozione dell’imperfezione

La minima incrinatura che commuove sparisce: resta una linea sterile, uguale per tutti. La pelle d’oca non si programma.

La memoria culturale

Le grandi interpretazioni restano perché sono umane. Il “perfettino” algoritmico invecchia in un weekend.

“Ma è solo un effetto creativo” (spoiler: no)

Uso creativo

Se un autore sceglie l’effetto per esprimere un’idea, bene. È linguaggio. È responsabilità artistica.

Uso alibi

Se l’effetto serve a mascherare limiti e vendere l’illusione del “so cantare”, non è stile: è frode percettiva.

Uso sistema

Quando diventa prassi di palinsesto per non far crollare share e roster, siamo alla resa culturale.

Auto-Tune: dal laboratorio al prime time

1997

Nasce come correzione invisibile in studio.

1998

Diventa effetto creativo pop e fa scuola.

2010s

Si trasforma in stampella di massa per la vocalità debole.

2025

Il Festival lo normalizza come “effetto”. La TV abbraccia il preset.

Obiezioni 

“Tanto l’Auto-Tune lo usano tutti”
E allora? Anche i filtri bellezza li usano tutti: non per questo li vendiamo come “arte”. L’abuso resta abuso.
“È solo un supporto tecnico”
Nel live nazional-popolare diventa una protesi identitaria. Se togli la protesi e crolla tutto, non è supporto: è stampella.
“Meglio intonati che stonati”
Meglio veri che finti. L’intonazione chirurgica senza interpretazione è musica patinata. La canzone è altra cosa.
“Così siamo al passo coi tempi”
Col passo degli algoritmi, forse. Con la musica, no. Il passo della buona musica è umano, non prefabbricato.


Conclusioni

Chiamarla “scelta di stile” è un esercizio di cosmetica linguistica. Quello che vediamo è un sistema che preferisce il filtro alla voce, l’apparenza al rischio dell’interpretazione. Sanremo ci dice che la musica è un preset. Noi diciamo il contrario: la musica è la voce umana quando sceglie di non barare.

A questo punto perché non far cantare direttamente i robot, i tempi potrebbero essere maturi ed avremmo certamente più espressività ed emozioni rispetto a quello che offrono diversi "cantanti" nostrani. Dicci he ne pensi.